(Palermo, 12 settembre 2025) – La recente sentenza pronunciata a Torino nei confronti di un uomo che ha ridotto in fin di vita la moglie è un insulto alla giustizia e a tutte le donne.
Dire che gli insulti, i colpi, le mani al collo rientrano nel “contesto della dissoluzione della comunità domestica” equivale a trasformare la violenza in un fatto normale, inevitabile, comprensibile. È un passo indietro di decenni, che cancella leggi e conquiste civili.
In questo modo la magistratura non solo tradisce una donna viva per miracolo, ma legittima la cultura del possesso che alimenta il femminicidio e la violenza domestica. Un messaggio devastante: se sei uomo, puoi sentirti “vittima” e aggredire la tua compagna; lo Stato ti comprenderà.
Non esistono attenuanti né contesti che possano giustificare la violenza di un uomo su una donna. Nessuna ferita, nessun trauma di coppia, nessun “torto subito”. Al contrario: queste giustificazioni costruiscono il terreno su cui la violenza diventa norma e la morte delle donne diventa statistica.
Questa sentenza non è un atto tecnico: è un dispositivo simbolico che riafferma l’ordine patriarcale, quello per cui la donna è ancora corpo a disposizione, proprietà sacrificabile, voce irrilevante. È un tradimento della Costituzione e della dignità umana.
Noi diciamo con chiarezza: la vita delle donne non è negoziabile, non è riducibile a “contesto”, non è materia di comprensione. È un limite assoluto.
Ci auguriamo che la magistratura riconosca la gravità del proprio atto perché una giustizia che assolve la violenza non è giustizia, è violenza essa stessa
